- Ma l'atmosfera in questa sala non sembra quella che descrivi nel
brano, non c'e' l'indifferenza tra autore e i professionisti.
E' vero c'e' un'aria diversa ma il problema e' tra
la voce parlante e l'industria, tra il desiderio di dire e l'ambiente in cui
la parola viene presa: ecco, Ciampi e' riuscito a non farsi prendere.
- Come hai incontrato la Tide, l'etichetta indipendente romana che
produce anche gli EZezi e gli Handala?
E' stato lungo e laborioso, venuto fuori da un rifiuto
delle major. Quello che sto facendo in questo momento e' proprio incompatibile
con l'industria musicale in Italia. Alcune delle mie produzioni precedenti
erano brutte anche perche' la casa discografica ti mette a disposizione
arrangiatori e musicisti che non conosci e che tentano di standardizzare
tutto. Credo che il mio ultimo disco la Emi lo abbia fatto per scaricare
l'Iva. Qui invece ho a che fare con delle persone che credono nelle cose che
faccio e nel lavoro che fanno loro.
- E il tuo rapporto con il pubblico come e' cambiato?
Per un periodo sono stato durissimo: era appena uscito
"Extranei" (1981), un album abbastanza complicato cantato tutto d'un
fiato nei concerti per quasi un'ora. Se mi chiedevano "Michel" o
cose del genere, non le cantavo: un concerto non doveva essere un rito
consolatorio ma inquietante. Oggi penso che la ritualita' sia qualcosa di piu'
profondo: ne abbiamo bisogno per cementare il senso dell'essere insieme.
- Non e' la prima volta che lavori con
persone al di fuori della musica come lo scrittore Gianni D'Elia.
Fondamentale per questo disco e' valorizzare le parole.
Gran parte delle canzoni che senti in giro sono sacrificate ad una confezione
piacevole, ammaliante, intrigante. Invece non si dovrebbe rinunciare alla capacita' liberatoria della parola.
- Che rapporto c'e' tra le tue canzoni e l'attualita'?
Bisogna raccontare delle storie. Difficilmente riesco a
spiegarmi quello che sta succedendo con gli strumenti della razionalita' ma
probabilmente il cuore e' gia' oltre l'ostacolo. E allora cio' che riesce
almeno a intravederlo da lontano e' il gioco della parola. Le storie nella
loro liberta' fantastica sono sempre un po' piu' avanti.
- Frequenti la societa' degli artisti comunisti e le feste di
Liberazione. Eppure, se capita l'occasione, marchi sempre la tua distanza.
Con questi musicisti ho un rapporto ottimo. I rapporti
personali non sono cosi' piatti, non ci si riconosce solo nell'identita'
politica. Riconoscersi in un'identita' e' uno dei problemi dell'Europa di
oggi: regredire fino a che non si trova un'identita' che non esiste... poi si
arriva alle guerre.
- Forse e' il momento di perdersi un po'?
La perdita c'e' gia' stata, il problema e' accettarla.
E' chiaro che l'occidente vive un momento di straordinaria perdita d'identita'.
- Qual'e' l'idea di "Curva Sud", uno dei pezzi piu' intensi
dell'album?
La curva sud e' il posto dei coatti, dei fanatici, di
quelli che interpretano il calcio e la vita in termini militari. Oggi l'Italia
e' diventata una specie di stadio.
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