ROBE DI AMILCARE
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Amilcare Rambaldi Club Tenco
Robe
di Amilcare
Foto: Roberto Coggiola
|
di
Enrico
de Angelis, dal sito del club tenco
Un
altro ligure che partì per incontrare le Indie ma scoprì l’America.
Inventò il Festival di Sanremo ma fece la Rassegna della canzone
d’autore. Si era diplomato in ragioneria ma il suo mestiere fu quello di
spedire fiori nel mondo. Comunque, una vita di bellezza e di ricerca, di
avventure e di intuizioni. Una mistura eccezionale di lucidità e
lungimiranza, cocciutaggine e fantasia, metodo e passione. E poi
gusto dell’arte (recitava fin da ragazzo in una compagnia amatoriale) e
impegno civile.
Ogni tanto, a causa della nota
allergia dei fiori a farsi mettere nei cannoni, doveva interrompere il suo
poetico lavoro e andare alle armi: dal ’35 al ’37 per la campagna etiopica;
dal ’39 al ’43 per la seconda guerra mondiale; infine, nel ’43,
organizzando i nuclei della Resistenza in Alta Valle Argentina. Le brigate nere
lo fanno prigioniero e per un soffio sfugge alla fucilazione.
Finisce la guerra e la giunta Cln di Sanremo, l’amata città
dove Amilcare Rambaldi era nato il 5 aprile 1911, nomina una commissione che
studi il modo di amministrare il Casinò in vista della riapertura. Il
socialista Rambaldi (che già presiede l’Ente comunale d’assistenza, sta
riorganizzando l’Associazione commercianti di fiori ed è membro del consiglio
di amministrazione dell’ospedale civico) è chiamato a far parte come relatore
della sottocommissione artistica, il cui compito è quello di proporre
manifestazioni e spettacoli per rivitalizzare la città. Il 15 novembre 1945
Rambaldi, che come si è capito ama la musica ed ha fra i suoi migliori amici
Pippo Barzizza e Alberto Rabagliati, presenta la sua relazione, piena di idee.
Tra queste un Festival della canzone italiana.
La relazione non ha seguito perché la gestione del
Casinò passa a privati, ma alcune proposte saranno poi realizzate (la Rassegna
della moda, il Torneo internazionale di bridge). Non vengono invece prese in
considerazione le iniziative di un Festival del cinema (l’anno successivo
spunterà poco più in là quello di Cannes), di un Conservatorio e del Festival
della canzone. Intanto i fiori sono tornati a sbocciare e Rambaldi, chiusa la
parentesi politico-amministrativa, riprende a esportarli in giro per il mondo.
Due anni dopo conosce Angelo Nizza, quello di
Nizza-Morbelli e dei “Tre moschettieri”, chiamato a Sanremo per dirigere
l’ufficio stampa del Casinò. Diventano amici fraterni e Amilcare gli sussurra
l’idea del festival, sollecitandolo ad insistere presso il gestore del Casinò,
Pier Busseti, per far approvare la proposta. Passerà ancora del tempo e infine
Nizza ottiene l’approvazione. Il 29 gennaio 1951, “dal Salone delle feste
del Casinò Municipale di Sanremo”, Nunzio Filogamo annuncia la prima edizione
del Festival della canzone italiana.
Nel 1971 il Festival compie vent’anni. Per un
decennio ha rappresentato davvero la vetrina delle tendenze canzonettistiche
nazionali, buone o disdicevoli che fossero. Poi ha intrapreso una china
discendente, fino a ricevere nel 1967 la micidiale pallottola di Luigi Tenco.
Nel ’71, appunto, Rambaldi ha un ritorno di fiamma e decide che è ora di far
qualcosa per ricordare Tenco. “Da quel traumatico, triste episodio della fine
di un ragazzo cui volevamo bene” raccontò poi “mi girava in testa l’idea
che qualcuno dovesse prendere l’iniziativa per cercare organicamente di
cambiare qualcosa nella canzone che continuava a deteriorare pubblico e
artisti.” Così Amilcare torna in Comune e porta, stavolta, la proposta di una
manifestazione riservata ai cantautori (in un primo tempo addirittura come
“sezione” del Festival), intitolata a Luigi Tenco.
Nel 1971 il Festival compie
vent’anni. Per un decennio ha rappresentato davvero la vetrina delle tendenze
canzonettistiche nazionali, buone o disdicevoli che fossero. Poi ha intrapreso
una china discendente, fino a ricevere nel 1967 la micidiale pallottola di Luigi Tenco.
Nel ’71, appunto, Rambaldi ha un ritorno di fiamma e decide che è ora di far
qualcosa per ricordare Tenco. “Da quel traumatico, triste episodio della fine
di un ragazzo cui volevamo bene” raccontò poi “mi girava in testa l’idea
che qualcuno dovesse prendere l’iniziativa per cercare organicamente di
cambiare qualcosa nella canzone che continuava a deteriorare pubblico e
artisti.” Così Amilcare torna in Comune e porta, stavolta, la proposta di una
manifestazione riservata ai cantautori (in un primo tempo addirittura come
“sezione” del Festival), intitolata a Luigi Tenco.
Ha per risposta sorrisi e
pacche sulle spalle: sì, l’idea è buona, ma quel nome è ancora
imbarazzante, meglio dimenticarlo, mamma Rai non gradirebbe. “Mi accorsi”
sono sempre sue parole “di essere un formidabile ingoiatore di rospi.”
Amilcare non si arrende e poco tempo dopo, leggendo un
articolo su Guccini, Ciampi e Vecchioni intitolato “Bravi, bravissimi, ma chi
li vuole?”, risponde: “Li voglio io.” La sua lettera viene pubblicata e
raccoglie inaspettati incoraggiamenti da tutta Italia. È così che Rambaldi
scopre l’esistenza di un molto informale Club Tenco fondato a Venezia da una
signora altrettanto generosa e temeraria, Ornella Benedetti, e stringe una prima
intesa con i suoi rappresentanti (tra i quali, poco più che ventenne, il
sottoscritto). Nel ’72 Rambaldi istituisce il Club Tenco di Sanremo, a cui
aderiscono subito decine di giovani da tutta Italia.
Si tiene una serata inaugurale, madrina la cantautrice
Antonella Bottazzi; e poi via via i primi concerti, con Gaber, Guccini, Siviero,
Vecchioni. Nel ’74 la prima Rassegna della canzone d’autore e il primo
Premio Tenco a un eccelso artista straniero: Léo Ferré. Gli italiani che
partecipano a quella edizione hanno nomi che suonano così: Gino Paoli,
Francesco Guccini, Roberto Vecchioni, Angelo Branduardi, Antonello Venditti,
Ivan Graziani...
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Da allora ne
abbiamo viste di tutti i colori. Di solito bastava che “lo zio”
alzasse il telefono e la sua voce era già da sola convincente:
“Ragazzo, ti aspettiamo. Non abbiamo una lira ma siamo tra amici”. Se
però non bastava, allora era capace di muovere mari e monti, senza
nemmeno darlo a vedere. In vent’anni, esponendosi sempre in prima
persona (anche economicamente), Amilcare Rambaldi, attorniato da un gruppo
di collaboratori che come lui lavorano per pura passione senza intascare
nulla, ha portato al “Tenco”, da varie parti del mondo,
Charles Trenet
e Tom Waits, Tom Jobim e Joni Mitchell, Atahualpa Yupanqui e Randy Newman,
Alan Stivell e Silvio Rodríguez, Lluís Llach e Caetano Veloso, e così
via.
Ha coordinato vasti progetti organici imperniati
su figure storiche come quelle di Vladimir Vysotskij e Pablo Milanés. Ha
segnalato all’attenzione generale artisti pressoché sconosciuti o
quanto meno ancora da valorizzare come Francesco Guccini, Paolo Conte,
Roberto Benigni, Angelo Branduardi, Roberto Vecchioni, Gianna Nannini,
Francesco Baccini, Davide Riondino, Vinicio Capossela. Ha proposto
linguaggi d’avanguardia, etnie minoritarie, repertori non di massa,
genialità anticonformiste. Ha capito subito quale formidabile serbatoio
di vocazioni e di culture poteva essere quell’interporto di poeti e
musicisti, quel traffico intellettuale di arrivi e partenze che lui
convogliava allegramente alla stazione di Sanremo.
E ha così incrociato tendenze e proiezioni
d’ogni tipo, ha fatto spazio a discussioni e convegni, ha messo insieme
talenti affini e opposti, è stato la calamita di una serie infinita di
incontri umani e artistici fioriti nei giorni del “Tenco” dentro quel
miracoloso habitat insieme colto e goliardico che riusciva a creare
intorno a sé. Merita di citarne uno almeno, quello che mise Paolo Conte
in contatto progressivo con Lluís Llach, Jacques Erwan e Olivier Gluzman:
fondamentale trampolino di lancio per il vertiginoso successo oltre
frontiera del nostro cantautore. “La vita, amico, è l’arte
dell’incontro” diceva Vinicius de Moraes. Per la sua instancabile attività Rambaldi
finisce persino per ritirare premi, lui che i premi sapeva così bene
trovarli e assegnarli: per esempio il riconoscimento di “cittadino
benemerito” di Sanremo nel 1978, o quello di “Amico di Barcellona”
per la valorizzazione della cultura musicale catalana, o il premio
speciale istituito nel 1994 dal Gruppo Giornalisti Musicali per un
operatore culturale.
Dal 1993 Amilcare finge di occuparsi meno della sua
creatura, il “Tenco”, ma continua a controllarla da vicino pur
affidandola al proprio entourage, che dall’inizio ad oggi è rimasto
pressoché lo stesso. Sono le prove generali del “dopo-Rambaldi” che
lui stesso, lucidamente come al solito, programma e sorveglia. Il “Tenco
93” va bene, altrettanto il “Tenco 94” e il 95. Così, finita
quest’ultima Rassegna, con l’ultimo Premio Tenco a Sérgio Godinho,
Amilcare, evidentemente soddisfatto e tranquillizzato, lascia passare
appena qualche giorno e il 4 novembre 1995 se ne va nel sonno.
Noi eravamo convinti che Amilcare Rambaldi fosse
destinato a vivere in eterno, anche perché ogni anno andava ripetendo
senza alcuna credibilità che quello era l’ultimo. L’istinto immediato
del “dopo-Rambaldi” è stato perciò di chiudere baracca e burattini.
Ma l’abbiamo sentito subito che da non so dove Amilcare si stava
incazzando. “Ragazzi, piantatela e datevi da fare” diceva. Così siamo
andati avanti, e lui è sempre lì che sorveglia, con gli occhiali scuri e
la sigaretta in mano. Per noi “Tenco” e “Rambaldi” non sono più
due cognomi ma sono diventati la stessa entità, lo stesso meraviglioso
giocattolo.
Enrico De Angelis
(Foto:
Roberto Coggiola)
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"Quando
Amilcare se n’è andato ero in giro con una tournée. Una tournée
sempre piena di gente che ride; e se questo accade lo devo anche a
Amilcare che fin dalle prime edizioni del Club Tenco mi accettò, allora
quasi sconosciuto, tra le fila dei suoi “ragazzini”.
Gli ho sempre voluto tanto bene, proprio
parecchio.
Una bella faccia, un talento e una voglia di
allegria tutta italiana; e soprattutto una brava persona: credo non si
possa dire di più di un uomo.
Non c’è verso scordarsi di Amilcare, e io non
me lo scordo."
ROBERTO
BENIGNI
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